CASTEL BARONIA
Il comune di Castel Baronia è situato su una ridente zona collinare a 639 metri sul livello del mare. Confina a Nord con S. Nicola Baronia, ad Est con Trevico e Carife, a Sud con Sturno e ad Ovest con Flumeri. Il territorio ha una orografia piuttosto accidentata ed impervia, pianeggiante solo a valle, lungo la riva destra del fiume Ufita, mentre la zona montana, per larga parte, coperta da flora mediterranea. I reperti archeologici, che affiorano nell’agro del Comune e soprattutto lungo il fondo valle, fanno pensare ad insediamenti remoti (le necropoli rinvenute nella zona circostante alla città rinviano ad un’origine sannitica ben più antica, risalente al IV secolo a.C.) in una zona che dovette occupare, nel sistema viario romano ed in quello medioevale, una rimarchevole posizione, tanto da essere un naturale tramite tra le popolazioni dell’Abruzzo, del Lazio, della Puglia, della Basilicata e della Campania.
Il nome deriva dalla Baronia di Vico, istituita da Roberto il Guiscardo nel XI secolo e affidata al nipote Gradilone. Notizie più sicure risalgono alla dominazione normanna, epoca in cui ebbe notevole rilevanza la Baronia di Vico con le sue rocche di Carife, Castello, S. Nicola, S. Sossio e Zungoli, divenute in breve tempo casali di Vico, in forza anche di una politica espansionistica adottata dai marchesi Loffredo per tutto il 1500, a cominciare da Ferdinando I. La data più certa è il 2 febbraio 1137, giorno nel quale si fa risalire il miracoloso ritrovamento della sacra icona della Madonna delle Fratte in un punto chiamato Valle, dove sorgeva un monastero di Verginiani. Il borgo avvolto da una leggenda religiosa che ne ha segnato anche l’importanza dal punto di vista dei pellegrinaggi. Si narra infatti che, intorno all’anno mille, un eremita inviato nella città, allora ancora chiamata Acquara, si fosse ritirato nel bosco a meditare, affiggendo l’icona della Madonna ad una quercia. Lo stesso anno, un toro venne ritrovato inginocchiato di fronte all’iconografia della Vergine. Ai vani tentativi di spostare l’immagine nella Chiesa di San Giovanni, la Madonna, con prodigiosi segni, fece intendere di voler rimanere sulla quercia, inducendo gli abitanti alla costruzione del Santuario di Santa Maria delle Fratte. Gli altri edifici religiosi sono la Chiesa di Santo e la Chiesa di Sant’Euplio. Gli edifici signorili sono il Palazzo Ducale e il Palazzo Mancini. All’ingresso del paese è possibile osservare una fontana che fungeva da lavatoio, mentre si segnalano all’interno le Grotte della Scuola dell’Osso e i resti del Castello Normanno. Curiosa caratteristica è il dialetto del posto, il “Ciaschino”.
La città a vocazione prettamente agricola e presenta una tradizionale lavorazione della pietra e del ferro riconosciuta per la sua qualità già nel regno di Francia. I prodotti tipici sono quelli della valle dell’Ufita: salumi e formaggi, aglio dell’Ufita, ma soprattutto olio extravergine d’oliva, detto olio Irpinia Colline dell’Ufita DOP. Tale denominazione viene attribuita a quegli olii che contengono non meno del 60% della varietà Ravece, mentre per la restante parte possono concorrere altre varietà locali quali l’Ogliarola, la Marinese, l’Olivella, la Ruveia, la Vigna della Corte e le non autoctone, in quantità meno elevata, Leccino e Frantoio. La notevole presenza di note aromatiche del cultivar Ravece e il suo gusto fruttato e intenso, fa prediligere l’utilizzo su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, le gustose pastasciutte della tradizione irpina, zuppe e grigliate di carne.
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